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Black Mirror ovvero, lo schermo nero della televisione, è una bellissima serie televisiva a episodi (per il momento tre) autoconclusivi, trasmessa dalla BBC,  ideata e diretta da Charlie Brookel, dove vengono rappresentati alcuni possibili futuri distopici in cui, la potenza ipnotica della televisione, è a tutti gli effetti il sistema stesso. Un sistema e un futuro non tanto lontano vista la situazione  attuale, soprattutto se “guardiamo” il grande potere che i media hanno  in questo squarcio di inizio millennio. La formula è simile a quella che vide il successo agli inizi degli anni ’60 dei mitici Ai confini della realtà (traduzione italiana de “The Twilight Zone”) di  Rod Serling e dei moltissimi remake  e imitazioni che si susseguirono nel corso dei decenni fino ai bellissimi Masters of Science Fiction del 2008.

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Nel primo episodio (The National Anthem)  viene rapita la principessa Susannah della famiglia Reale d’Inghilterra e quando il rapitore proporrà la sua richiesta di riscatto, lascerà tutti allibiti: il primo ministro inglese dovrà umiliarsi in mondovisione, avendo un rapporto sessuale con un maiale. Di primo acchito questa sconclusionata e pazza richiesta potrà farvi sorridere, ma vi posso garantire che non sarà così, anzi, vi lascerà dentro un senso di amarezza tale che la successione degli eventi muterà la vostra ironia in frustrazione e poi ancora in sorpresa. E nonostante i primi tentativi di mettere un sosia in tale situazione (ma il rapitore se ne accorgerà) e la pressante richiesta degli spettatori, prima di internet e poi dei network, costringerà l’interessato a subire davanti a milioni di guardoni l’abnorme situazione. La principessa è una sola, mentre di primi ministri ne troviamo quanti ne vogliamo… Chiaramente non vi svelo il finale per non togliervi il colpo di scena che caratterizza ogni singolo episodio e che sostanzialmente rappresenta il nostro continuo desiderio alla ricerca di emozioni forti, in quel rapporto di amore-dipendenza se così vogliamo chiamarlo, di ogni storia, in cui, nostro malgrado, siamo noi alla fine gli inconsapevoli protagonisti; o al contrario lo sappiamo benissimo, e allora sono proprio le nostre decisioni misurate in “indice di ascolto” che ci tramutano in arbitri e spettatori della nostra quotidianità, o peggio , di quella degli altri.

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Nel secondo (15 Million Merits) troviamo un’umanità rinchiusa in particolari edifici-prigioni dove ognuno è costretto a passare il suo tempo sopra delle macchine-pedalatrici e dove, in base ai punti che guadagna durante la giornata, potrà acquistare quello che gli serve per vivere: dai beni di prima necessità fino ai filmini i porno e soprattutto le trasmissioni televisive (pubblicità comprese: le quali si è obbligati a vedere) che ogni protagonista guarda davanti a degli schermi montati davanti alla sua particolare cyclette: una sorta di produttrice di energia. Ma in realtà ognuno è prigioniero di se stesso e delle sue illusioni, perché i migliori potranno partecipare ai Talk-show e ai Reality che dominano la scena di questa civiltà, come i protagonisti di questa storia che faranno di tutto per arrivare alla tanto agognata meta. Una situazione che non è tanto lontana, con i dovuti distinguo, dal mondo in cui viviamo. Tra l’altro, il tutto è basato per misurare le pulsioni più basse dello spettatore, e la sorpresa finale probabilmente consiste proprio nel far decidere a chi guarda, se vorrà essere lui il giudice di una determinata situazione o meno; come se il sentirsi padrone della scena di un destino qualunque, fosse, anche nei lati più scabrosi, il sentirsi  depositario della scelta. Badate bene, non si vede niente di volgare, sia in questo episodio come in quello precedente, ma il concetto è uno solo: siete sicuri di voler vedere tutto questo? E una volta presa la decisione, come volete continuare?

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L’ultimo episodio (The Entire History Of You) è forse il più interessante, perché in questo futuro è possibile rivedere i ricordi della propria vita, mediante un dispositivo che, innestato per così dire, dietro l’orecchio, permette di trasferire le immagini al teleschermo, e nello stesso tempo tale situazione la si può godere da soli o con gli amici come se fossero dei veri e propri film, sia i propri che quelli degli altri.  “A prima vista” sembrerebbe che tutto questo sia un qualcosa di favoloso, ma in realtà siete sicuri che tutto questo vi porterà ad una situazione di divertimento o di abbandono sognante? (Che ne so: una bella gita, i vostri primi amori, i vostri rapporti sessuali più intensi). E se i ricordi di ognuno per quanto bellissimi, improvvisamente si trasformassero nei vostri peggiori incubi? E se al contrario i vostri ricordi più brutti tornassero a tormentarvi? E se più semplicemente veniste a sapere, tramite un ricordo appunto, che vostra moglie o vostro marito vi tradisce? Magari durante a una festa in compagnia? Domande banali? E la vostra vita come la vivreste? Bene… male…  E la vostra privacy?
Provate a riflettere,  perché ciò che apparentemente sembra un prodigio della tecnica, non sempre diventa    l’eldorado delle emozioni, anzi…   Inoltre se tutto questo fosse un espediente del sistema per controllare la vostra vita?  I ricordi sono belli ma, vanno vissuti solo a livello emozionale, perché è sempre il giorno dopo la meta che dobbiamo prefiggerci, senza  “interferenze”.

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Non voglio dilungarmi per lasciarvi, come ho già detto, all’imprevedibilità di queste storie che volendo o non volendo, ci appartengono. Vicine, lontane… futuro, passato… A volte, purtroppo gli scrittori e/o gli sceneggiatori di fantascienza non fanno altro che prevedere quello che verrà.
Sulle pagine del Corriere Aldo Grasso ha scritto: “…si calcano i toni su un aspetto parossistico e grottesco da cui trarre una morale. Che  è questa (un po’ abbellita da noi): la violenza dei media consiste non tanto nel rispecchiare la brutalità del mondo, quanto nell’abituarci a convivere con essa. La ferita della vista si rimargina subito: ma qualcosa in noi si indurisce, si spegne. La vera violenza dei media è la consuetudine con l’atrocità, è la normalità dell’orribile, è la familiarità con la crudeltà. La debolezza dei racconti Di Charlie Brooker si annida nel confine tra morale e moralismo: i suoi personaggi sono caricaturali, le sue esternazioni assomigliano molto ai luoghi comuni. L’ idea che le televisioni “facciano male” ha una lunga storia alle spalle, e periodicamente riguadagna consistenza. Del resto, l’atteggiamento di “panico morale”, di paura e sospetto, ha accompagnato la nascita di tutti i mezzi di comunicazione moderni, dal cinema alla radio e, più recentemente, a internet”.
Chiaramente, come tutte le cose, la verità sta nel mezzo. La televisione ha dato da mangiare ad Aldo Grasso fino a ora e per lui è un mondo dove tutto è possibile, e probabilmente è proprio così ma, quand’è che la tecnologia smette di esserci utile?  Quand’è che invece di  migliorare le nostre vite procura solamente dei danni irreversibili?

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Noi siamo consapevoli di tutto ciò, anche in questo momento in cui io sto scrivendo questo post e sto utilizzando la rete come uno dei dispositivi più sorprendenti di questi ultimi anni e dove, forse, se venisse improvvisamente a mancare, sarebbe come se mi svegliassi senza un braccio.
Io sono convinto che bisogna mettersi sempre di fronte “al lato oscuro” di ogni innovazione tecnologica e guardare questo Black Mirror come un vero e proprio specchio dove riflettersi e riflettere, anche per un solo momento, perché le profondità della nostra psiche sfuggono ad ogni dimensione. D’altronde lo ha detto anche Nietzsche:  a furia di guardare dentro l’abisso, sarà l’abisso a guardare dentro di noi…
Ma poi in fondo è solo cinema: science-fiction, se vogliamo. Gli scrittori scrivono libri, gli sceneggiatori la trama di un film e via dicendo… solo finzione, e come tale va gustata. Ma… se un giorno prendessimo per sbaglio una strada che non abbiamo mai percorso prima e improvvisamente ci sentiamo proiettati in un luogo sconosciuto, fuori dalla nostra normalità, dalla nostra quotidianità… e improvvisamente incominciamo a provare il significato della parola “paura” !  Ebbene, abbiamo scoperto che esiste un altro mondo accanto a quello che ci è familiare, che siamo giunti “in una regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. E’ la regione dell’immaginazione, una regione che si trova… ai confini della realtà ! “

il Barman  del Club

11 Comments on “BLACK MIRROR – il futuro prossimo venturo

  1. ” L’ idea che le televisioni “facciano male” ha una lunga storia alle spalle, e periodicamente riguadagna consistenza.” E già, che idea bizzarra, proprio fantascienza, anzi fantasy. Per fortuna c’è Grasso ad aprirci la mente.

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  2. Ah, forse i tempi sono maturi per invertire lo storico finale del siparietto di Sterling, ovvero: “E’ la regione della realtà, una regione che si trova… ai confini dell’immaginazione.”

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    • un mio amico poeta ha scritto: “quando ci si abitua a un errore, questo diventa la normalità”. Curiosamente nella prima stesura del libro, un refuso cambiò la parola “errore” in: “orrore”. Ebbene… ha lasciato il refuso così com’era.

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